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Resistenza ecosociale – una riflessione sul cataclisma climatico

Se uno legge “Il Sol dell’avvenire” di Valerio Evangelisti noterà che in alcuni passaggi iniziali i braccianti organizzati in lega si riunivano davanti le prefetture per chiedere di lavorare per il consolidamento degli argini. Evangelisti non era solo uno che scriveva i romanzi, era un ricercatore storico, che conosceva bene l’Emilia e la Romagna, ed aveva messo lo sguardo su quel mondo, sul rapporto tra lavoro e territorio che ha costruito l’ossatura della regione. Con diversi testi pubblicati sulle prime forme di mutualità dei lavoratori che poi trasferivano in conflittualità aperta per il salario ci ha ricordato come le classi subalterne riuscivano a dotarsi di strumenti di difesa della propria condizione. Il tempo su quelle terre ha oramai cancellato quella storia, oramai improponibile nello stesso schema. Tuttavia è interessante, oggi, recuperarne il senso, in particolare su quelle terre sommerse riflettere su quanto è accaduto in passato. Accade oggi ed accadrà domani.

In queste ore molti precari per volontà solidale o per necessità stanno tirando via il fango dalle case. Sono migliaia, ed i comunicome quello di Bologna salutano questa straordinaria dimostrazione di solidarietà organizzandola nell’emergenza. Che bravi questi politici emiliani tutti cemento, speculazione e volontari, ci verrebbe da dire. Fortunatamente però qualcosa di nuovo sta accadendo, migliaia di volontari riversati in Emilia Romagna stanno sviluppando un processo di autorganizzazione con una valenza politica che presto si concretizzerà nella piazza bolognese.

Noi pensiamo che, anche se in emergenza, occorra avere la mente lucida nel comprendere che proprio in queste ore la classe dominante, quella che contribuisce al cataclisma climatico, è la stessa che inizia a proporre il tema dell’adattabilitá a questo scenario per i territori. Lo fa mettendo a valore la solidarietà ricondotta dentro un patto di unità nazionale che tende, come spesso avvenuto, a rimuovere le voci dissonanti. Il patto del fango e del cemento, ci verrebbe da dire, si evince nello sviluppo concreto di come l’intera classe politica nazionale e regionale sta affrontando l’emergenza d’amore e d’accordo. L’impiego di migliaia di volontari che per solidarietà portano il loro contributo ai loro fratelli e sorelle è da sostenere senza esitazioni.

Ma fa riflettere che i giovani, che fino a ieri erano chiamati fannulloni e scansafatiche, oggi diventano esempi di cittadinanza attiva. La domanda che poniamo a tutti e tutte è “Chi deve pagare i costi del cataclisma climatico e perchè spaliamo il fango dalle case gratuitamente senza porre il tema del salario ecosociale?”. Come abbiamo detto, la solidarietà è fondamentale, e va praticata senza esitazione. Produrre confederalitá sociale a partire dal mutuo aiuto è per noi terreno di lavoro quotidiano. Al tempo stesso però dovremmo essere in grado di articolare un discorso di rottura rispetto alla retorica degli “angeli del fango”.

Pensiamo infatti che il lavoro politico dei prossimi giorni non debba indirizzarsi solo sul tema della solidarietà e sulla denuncia del consumo del territorio, della cementificazione, o sulle responsabilità del modello produttivo che sta distruggendo il pianeta. A questi temi dobbiamo aggiungerne un altro, o almeno provare a discuterne. Dentro le pratiche solidali possiamo provare a produrre una soggettivazione politica rivendicativa in cui porre il tema del salario ecosociale?

Quanto ancora ci metteremo gli stivali, per quanto ancora ci faremo in quattro senza assumere il tema della sostenibilità di queste pratiche?

Noi pensiamo che chi lavora, chi non lavora, chi lavora in una condizione di precariato, non riuscirà a donare molto per il lavoro di solidarietà nei tempi che verranno. E noi abbiamo bisogno invece che questa soggettività autorganizzata si alimenti nel tempo, che diventi pratica strutturata. Noi abbiamo due strade su cui lavorare davanti a noi. La prima è quella di proporre che fin da subito ” le istituzioni paghino una giornata di lavoro a chi ha spalato il fango”. Se l’emergenza è strutturale allora dobbiamo porre questo tema per il futuro. Chi spala non dovrebbe essere salutato solo con una pacca sulle spalle del tipo “grazie, quanto sei bravo per la tua solidarietá” e poi ritornare a fare il precario finita l’emergenza . Chi spala oggi, finita l’emergenza dovrebbe andare sotto le prefetture e chiedere salario retribuito per le giornate svolte. Chiedere, come facevano le leghe dei braccianti di cui parlava Evangelisti, di essere impiegati per la messa in sicurezza del territorio, allearsi con i giovani che da mesi ci ammoniscono sugli effetti devastanti del cambiamento climatico e costruire dal basso una piattaforma rivendicativa che lega salario ecosociale e difesa dell’ambiente. Pretenderla. È utopico? Può essere. Ma noi abbiamo anche bisogno di mettere insieme saper fare e orizzonti, programmazione e confederalitá ecosociale. Le realtà dell’autorganizzazione, i comitati che sorgono in queste ore, i sindacati di base dovrebbero produrre su questo una proposta, una propria piattaforma rivendicativa che assuma il tema centrale della prevenzione degli eventi catastrofici. Prendere le liste dei volontari che spalano oggi, portarle nei comuni, nelle prefetture, e pretendere il pagamento della giornata svolta vuol dire affermare per il domani la necessità di costruire un programma democratico che assume come centrale il tema del lavoro ecosociale per la prevenzione rispetto ai cataclismi climatici. Non uno sciopero al contrario, ma mutualismo che produce conflitto. Il primo passo per affrontare la guerra climatica che il capitalismo ha prodotto.

Sappiamo però che sarà ben difficile, che lo Stato è orientato su un altro modello di adattabilità al cambiamento climatico, nel quale le grandi opere, l’emergenza anziché la prevenzione, la speculazione anzichè la difesa del bene comune, prevalgono. Con questi rapporti di forza le nostre rivendicazioni rischiano infatti di essere parole al vento. Dobbiamo allora percorrere anche un’altra strada, non alternativa alla prima ma tangente ad essa, assumerci il tema della costruzione di una nuova economia popolare che sovvenzioni nel tempo il lavoro di messa in sicurezza ecosociale dei territori. Abbiamo la necessità di costruire una nuova idea di organizzazione che tenga conto delle difficoltà sempre maggiori che in un sistema neoliberista incontrano le classi popolari. Fuori dallo Stato e con una programmazione di interventi autonomi di messa in sicurezza del territorio di tipo democratico è necessario, diremmo impellente, costruire resistenza economica per finanziare quella ecosociale. Alcune esperienze di utilizzo sociale della terra ad esempio, ancora sporadiche e primitive ci dicono che è possibile generare una quota sociale economica assumendo il tema della produzione e della distribuzione come fattori di lotta politica.

Non mancano i modelli e le sperimentazioni in atto, quello che manca secondo noi è l’organizzazione generale per questo scopo. Oggi più che mai è sempre più necessario che il tema del mutuo aiuto si leghi a quello del conflitto sociale dentro uno schema nuovo di militanza, uno schema nel quale la dimensione economica diventa centrale per sostenere le lotte e le pratiche sociali.

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