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Gasp on tour #03 – La Casa dei Cini

Il piccolo Adriano dà il benvenuto alla Casa dei Cini, nel comune di Piegaro, correndo biondo e allegro fra i numerosi trattori giocattolo, macchinine, palloni sparsi qui e là sul prato attorno all’abitazione principale, che è anche taverna, punto vendita e cantina. Adriano è il figlio di Clelia, che con suo fratello Riccardo ha ripreso in mano la fattoria di famiglia per trasformarla in azienda agricola nel 2003.

Oggi la Casa dei Cini produce vino, olio, miele, aglione, lavanda. E poi ci sono gli animali: galline, oche, capre, conigli, asini, cani, gatti, compagni di giochi di Adriano. Attorno alla casa, l’orto invernale e quello estivo. Il vigneto e l’uliveto sono poco distanti, così come le arnie, e il pascolo per le pecore.

“Casa dei Cini è una fattoria aperta – racconta Clelia – arrivano clienti per il vino e il miele, i bambini del paese vengono qui a giocare con gli animali, spesso anche i passanti occasionali si fermano a guardare gli asini o i maiali, tutti sono benvenuti”.

E poi c’è la Fattoria Didattica che soprattutto in primavera ed estate accoglie gli alunni delle scuole vicine che guidati da Clelia imparano i ritmi della fattoria, osservano le api in una teca trasparente, respirano per qualche ora la stessa aria dei caproni e delle oche.

C’è un altro motivo per cui Casa dei Cini è davvero una fattoria aperta. “Per le degustazioni, le cene con i clienti e nel punto vendita abbiniamo ai nostri vini solo prodotti di piccoli produttori della zona, dalle farine, ai formaggi, alle verdure essiccate. Siamo parte di una comunità ed è nostro dovere promuoverla per intero”, spiega Clelia. Una scelta che in modo naturale ha portato Casa dei Cini a incontrare il Gruppo di Acquisto di Perugia Solidale.

La famiglia Cini vive in questa casa dall’Ottocento. Aristide, il padre di Clelia e Riccardo, ha acquistato nuovi terreni fino ad arrivare agli attuali 50 e mantenuto attiva la fattoria. Per continuare questa storia famigliare, fatta di rispetto e simbiosi con il territorio, era inevitabile praticare un certo tipo di agricoltura: “Per i vigneti e l’oliveta abbiamo sempre lavorato in biologico, per cui siamo certificati – spiega Riccardo, che in azienda si occupa della parte agronomica – poi abbiamo esteso le stesse pratiche anche ai seminativi, accettando di perdere qualcosa in termini di produzione ma facendo, senza dubbio, la cosa giusta”.

Mentre parliamo Riccardo guarda dall’alto il vigneto, sullo sfondo la centrale elettrica di Pietrafitta, con il tipico profilo da cartone animato. L’annata 2023 è stata tragica, con la peronospora, un fungo letale per la vite, che si è portata via quasi tutta l’uva. “In un anno come questo – racconta Riccardo – abbiamo raccolto la miseria di cinque quintali di uva dai cinque ettari in piena produzione. Niente”. Eppure, invece di ricorrere a scorciatoie con prodotti chimici e diserbanti, la scelta è stata quella di rafforzare la strada intrapresa: “Fare sovescio, piantare favino, applicare preparati naturali come il cornoletame (un preparato cardine dell’agricoltura biodinamica ndr). Per me è l’unico modo di avere un vigneto sano ed equilibrato e nel tempo più resistente alle malattie. E se adesso soffriamo, i benefici arriveranno in futuro”.

Nel vigneto dei Cini, ogni parcella corrisponde a un vino: tutte le uve di una porzione del vigneto vengono raccolte, vinificate e poi imbottigliate insieme. È il tradizionale “taglio in vigna”, scelto da Riccardo per recuperare una vecchia tradizione umbra, quando per necessità i contadini badavano ad avere un raccolto stabile e vario, ma anche perché è forse il modo migliore per raccontare un pezzo di territorio: attraverso un insieme di caratteri diversi.

A questo si affianca un progetto interessantissimo, il recupero del Dolciame, piantato negli ultimi due ettari di vigneto. Il Dolciame era un vitigno sopravvissuto ormai solo nei ricordi dei vecchi contadini della Valtiberina, non compariva nemmeno nell’elenco vinicolo regionale dell’Umbria. Dal 2016 in poi Riccardo è riuscito, in collaborazione con l’Università di Perugia, a recuperare qualche pianta, farla riprodurre e innestarla direttamente in campo. “Il Dolciame veniva coltivato e raccolto assieme al Trebbiano, anche se maturando prima al momento della vendemmia risultava più dolce, da qui il nome. Ma è un’uva con un PH più basso, con tanta acidità, che potrebbe anche dare vini da invecchiamento”. Riccardo ancora non sa che vino produrre con il suo Dolciame, sta sperimentando e seguirà le indicazioni che quest’uva storica gli darà. Anche questo è recupero della tradizione, anche questo è partire da radici forti per aprirsi al futuro.

www.perugiasolidale.it/gasp
foto di Emanuela Bianconi

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